Sorpresa, sorpresa; s'impara anche l'arte. Patrice Leconte faceva parte della specie assolutamente demonizzata dai critici, quella del regista commerciale: dignitosi film d'intrattenimento negli anni settanta, buona pittura d'ambiente in TANDEM (1986). Ed ora un film compatto come una roccia, senza una scheggia che non sia un brillante. Alla base c'è un Simenon, come sempre conciso, attento all'uomo, alla solitudine che si nasconde dietro l'insolito, al tormento che alimenta il bizzarro. Lui (curioso, commovente Michel Blanc) si veste soltanto di nero, scorbutico, odiato da tutti, sta a vedere che magari è anche assassino: osserva lei (umile e solare Sandrine Bonnaire; il dono, l'arte di mutare, con un sorriso la faccia della terra) nascosto dalla finestra, finché lei se ne accorge, e magari nemmeno se ne dispiace.
Il mistero, allora, diventa un altro. Infinitamente più prezioso: come in FINESTRA SUL CORTILE, come in A SHORT STORY ABOUT LOVE di Kieslowski o in certi Polanski, il voyeurismo si fa prolungamento dello sguardo cinematografico, analisi non tanto dell'oggetto osservato, quanto di ciò che sta all'interno dell'osservatore.
Costruito con una coerenza stilistica sorprendente, MONSIEUR HIRE, novello Nosferatu, si spalanca su questa solitudine; dapprima con la medesima ritrosia dolente delle sue tinte smorzate, di quel quartetto di Brahms che accompagna lo sguardo del protagonista. Poi, quasi a forzare la nostra incredula sorpresa, con il taglio impeccabile, quasi bressoniano delle sue inquadrature; con la mano raffinata che scolora l'inquietante miseria delle apparenze iniziali nell'istante della felicità e, chi l'avrebbe mai detto, del sinuoso erotismo.
Se questo è cinema commerciale, correte; senza aspettare i saldi.